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Autonomía Personal

Le autonomie verso una qualità di vita consapevole e indipendente - Alcuni fondamenti teorici per orientare le azioni

  • PALABRAS CLAVE: Autonomía, Independencia, II Congreso Iberoamericano, Escuela de vida, Ponencia
  • Autor: Nicola Cuomo, Nuria Illan Romeu, Alice Imola
  • Fecha de publicación: 30/04/2010
  • Clase de documento: Ponencias
  • Formato: Texto

Referencia bibliográfica

  • > Editor: Down España
  • > Nº de páginas: 27

RESUMEN:

Risulta fondamentale definire chiaramente le parole e i concetti che si utilizzano quando si vogliono confrontare dei dati e mettere in atto un lavoro di ricerca-azione-formazione affinché i risultati e le verifiche siano comparabili. Un definire che non ha una necessità puramente nominalistica, ma utile e funzionale sia per orientare le ipotesi e le pratiche sia per poterle verificare in una dimensione comparativa

 

Tema 7: Autonomía, independencia y escuela de vida

 

 

Título: Le autonomie verso una qualità di vita consapevole e indipendente - Alcuni fondamenti teorici per orientare le azioni

 

 

Risulta fondamentale definire chiaramente le parole e i concetti che si utilizzano quando si vogliono confrontare dei dati e mettere in atto un lavoro di ricerca-azione-formazione affinché i risultati e le verifiche siano comparabili. Un definire che non ha una necessità puramente nominalistica, ma utile e funzionale sia per orientare le ipotesi e le pratiche sia per poterle verificare in una dimensione comparativa.

 

La definizione inoltre non va considerata come un dato assoluto ma va utilizzata solo e soltanto in relazione alla convenzione che un determinato gruppo decide in un sistema rigoroso come quello della ricerca e pertanto è suscettibile a permanenti modifiche concordate nell’itinerario del protocollo che si va via definendo nell’itinerario di ricerca-formazione-azione. La definizione quindi propone riferimenti non dogmatici, ma dinamici e flessibili, e rappresenta la sintassi e la grammatica di riferimento comune che nasce da ed in funzione di una cooperazione di più persone per il raggiungimento di un obiettivo condiviso all’interno di un sistema.

 

Nel nostro caso intendo definire la particolarità della  ricerca-formazione-azione (1) in relazione al raggiungimento di obiettivi circa l’autonomia e l’indipendenza di persone con necessità speciali (2).

 

 

 

1.- La ricerca-formazione-azione

 

Si intende ricerca-formazione-azione una organizzazione rigorosa considerata in una dimensione  sistemica immessa in un processo in cui vi è permanentemente un flusso di influenza e cambiamento reciproco.

 

Tale dimensione è stata da noi scelta a favore di un sistema che cerca permanentemente sinergie e vuole in momenti anche contemporanei alla formazione, mettere in atto gli strumenti rigorosi della ricerca per formulare ipotesi sufficientemente meditate che vadano ad orientare delle prassi. Una contemporaneità di pensiero pur nella specificità dei tre ambiti che nella sua complessità è molto somigliante a quella delle problematiche che in ambito di superamento degli handicap si vogliono analizzare. Sinergie quindi di paradigmi e di concetti che nella loro formulazione e messa in atto costituiscono quel processo permanente che vuol evitare un congelamento diagnostico o meramente connotativo di ciò che si sta analizzando, comparando, valutando, osservando,… Un processo dinamico estremamente flessibile che è possibile apprendere solo e soltanto nel flusso stesso in cui gli eventi accadono, in cui le ipotesi si vanno ad applicare, nel momento in cui le azioni provocano reazioni impreviste e/o imprevedibili.

 

Una dimensione, quella della ricerca-formazione-azione, che richiede un impegno ed un’alta qualità professionale per una ricerca che, pur basandosi su fondamenti epistemologici, teoretici e metodologie, conosce e tiene presente i rischi che il permanere in tempi lunghi in tali ambiti teorici non porti a concretizzazioni nella pratica.

 

Una dimensione quindi di ricerca sul campo che produce opportunità di formazione ad alto livello.

 

Il percorso ricerca-formazione-azione propone una condizione in cui l’atteggiamento del gruppo di lavoro è fortemente sperimentale. In tale dimensione i contenuti educativo-didattico-formativi acquistano la potenza di essere analizzatori del processo stesso permettendo il realizzarsi di un itinerario di scoperte, di formulazione e riformulazione di ipotesi e di verifiche. I contenuti educativo-didattico-formativi divengono l’occasione per far si che i percorsi di insegnamento e di apprendimento, di formazione, assurgano ad una qualità tale per cui si possa parlare di progetto. 

 

Un itinerario progettuale che si caratterizza sia quale itinerario di verifica delle ipotesi che di scoperta con una permanente attenzione a rilevare ed a connotare eventi, fenomeni, atteggiamenti, costanti,…variabili non pensate in precedenza, non contenute nelle ipotesi o che fondavano il progetto, ma che nel percorso progettuale hanno perso di importanza e vanno considerate da primarie a secondarie.

 

La responsabilità dell’Università e della Pedagogia Speciale nel laboratorio che si viene a creare consiste principalmente nell’intervenire su due "registri" paralleli avendo:

a)    Un’attenzione informativa di aggiornamento;

b)  Un’attenzione formativa attiva rivolta a far "penetrare" i protagonisti del sistema ricerca-formazione-azione nelle strutture delle esperienze con la finalità di mettere in atto un processo di empowerment che fornisce, fa scoprire e potenzia strumenti culturali e chiavi di lettura per l'analisi e conoscenza dei processi che partecipano all'architettura degli stili cognitivi delle persone con deficit andando a costituire la loro maturazione ed originalità.

 

Per mettere in atto l’itinerario di empowerment con tale complessità risulta indispensabile che il gruppo abbia incontri di confronto e verifica molto, frequenti pressoché quindicinali, in presenza e a distanza (tramite la rete con sistemi tipo skype).  Tali incontri risultano essenzialmente rivolti a potenziare questo secondo registro mettendo in atto un vero e proprio training finalizzato a fornire al gruppo chiavi concettuali, strumenti culturali, metodologie ed abilità (agilità mentale) per un’attenzione ai particolari, ai contesti, alle situazioni, agli ambienti, alle relazioni, ...(tenendo conto che vi è il rischio di giudicare fenomeni o dati quali secondari o di alcun valore mentre al contrario si possono rivelare fondamentali).

 

Fornire strumenti culturali e chiavi concettuali interpretative significa far acquisire capacità e competenze tali da percepire, agire, osservare, interpretare, conoscere in modo sistemico e in dimensioni complesse; significa far assimilare abilità per saper osservare i problemi da più punti di vista, per individuarne i molteplici aspetti ed ipotesi e tentare possibili risoluzioni; significa far acquisire capacità di gestire selezioni di dati in ipotesi che li strutturano rapidamente in molteplici possibilità interpretative; queste sequenze di intuizioni e deduzioni devono essere gestite con una competenza capace di diversi modi di osservare le cose, i fenomeni, simultaneamente, mantenendo l'attenzione al flusso di informazione che sta pervenendo.

 

 

 

2.-Autonomia e indipendenza

 

«Autonomia», «indipendenza», ma con «l’emozione di conoscere e il desiderio di esistere», competenze nel fare, ma anche desiderio di fare con consapevolezza.

 

Gli obiettivi del processo formativo non sono solo finalizzati a far acquisire autonomie. I ragazzi vanno implicati in un progetto non  solo per “imparare autonomie”, che potrebbero anche derivare da un apprendimento meccanico, da un’azione che, ripetuta più volte tramite numerosi esercizi, mi mette in grado di compierla da solo: ad esempio, posso apprendere a preparare un caffè, utilizzando la caffettiera e svolgendo il processo di preparazione da solo fino ad arrivare al caffè pronto da consumare nella tazzina. Saper preparare il caffè corrisponde ad «agire un’autonomia»: quel che invece si vuol raggiungere è «imparare ad essere autonomi», nel senso di essere «capaci di governarsi da sé, sulla base di una autentica intenzionalità originale», in una condizione di «non dipendenza da altri», cioè di «indipendenza».

 

In tal senso più ampio, risulta di fondamentale importanza non solo il fatto di poter svolgere un’azione da solo, ma anche la capacità di decidere cosa fare, come fare, quando fare, in modo consapevole e responsabile: non solo «so fare il caffè», ma anche «posso decidere che oggi, anziché prepararlo, andrò al bar a berlo in quanto è nei miei desideri, ho voglia di incontrare altre persone» oppure come risposta all’imprevisto della caffettiera rotta o della mancanza dell’ingrediente principale.

 

L’obiettivo che si vuol raggiungere non è assolutamente di tipo addestrativo, non riguarda mere e sterili tecniche da apprendere e saper ripetere nella quotidianità: non si vuole una persona meccanicamente addestrata, ma una persona che pensa, che si emoziona, che è cosciente e consapevole dei suoi pensieri e delle sue emozioni, che sa risolvere gli imprevisti, che sa socializzare ed ha una vita relazionale, che desidera e può continuare ad apprendere, a conoscere, a vivere. Un’autonomia che non deve divenire autarchia con il risultato di rimanere da soli. Un’autonomia che nella intenzionalità di chi la possiede propone il desiderio, il piacere, le competenze di stare con gli altri e di ricercare le condizioni per vivere nel sociale. Una persona che, anche quando non sa fare, sa a chi chiedere aiuto, quando ed in che modo.

Una persona autonoma ed indipendente quindi pretende il riconoscimento non tanto e non solo per le competenze apprese, per ciò che sa fare, per gli apprendimenti, quanto per la padronanza intenzionale che accompagna i suoi «sa fare»; una maturità, una forza interiore, la fiducia in se stessi, un senso di responsabilità che trascinano con sé poi anche tutte le competenze, le autonomie, magari apprese anche in forma passiva, ma non agite con la stessa intensità, con la stessa consapevolezza, determinazione e competenza organizzativa che si deve raggiungere quando le autonomie hanno l’energia dell’indipendenza.

 

 

Quale atteggiamento da parte dell’educatore per un percorso formativo verso una vita autonoma e indipendente: l’atteggiamento dell’“amico”

 

Fondamentalmente la denominazione “amico” non vuol produrre un falso amico ma ispirarsi solo e soltanto alle modalità relazionali, comportamentali, comunicative, …, ad un’atteggiamento che si svolge e connota la relazione tra amici.

 

Quello che si vuol assolutamente evitare, nei confronti della persona con deficit, è l’atteggiamento da educatore, da maestro, da genitore, da adulto direttivo.

 

La denominazione “amico” (connota un metodo) sta quindi nell’atteggiamento, nelle modalità relazionali, nel rapporto di fiducia, di intesa empatica che l’Operatore deve saper realizzare.

 

Inoltre l'"operatore-amico" per le sue esperienze, per la sua professionalità, per le sue capacità progettuali, è sicuramente in grado più di un coetaneo (di un amico “vero”, incontrato per caso) di orientare, "pilotare" le esperienze verso il superamento degli handicap che il deficit propone.

 

"L'amicizia" diventa un'occasione prodotta artificialmente per fornire alla persona con deficit quelle competenze utili per poter poi essere in grado di saper far "nascere" un'amicizia (per evitare l’isolamento che la gestione delle autonomie in modalità autarchica rischia di determinare: “so fare da solo non voglio gli altri”).

 

Persone, ambienti, contesti, ...possono sfavorire o favorire il "nascere" di un'amicizia; pertanto, l'operatore-amico dovrà produrre nell'ambito del progetto le competenze che favoriscono e mantengono uno stato di amicizia.

 

Orientare le Autonomie e le Competenze attraverso non solo le parole o attraverso un insegnare didattistico, ma attraverso l’emulazione, attraverso il fare insieme in un rapporto di fiducia  caratterizzeranno il percorso formativo e finalmente gli obiettivi non saranno strettamente legati alla scuola o alla terapia, dove si è permanentemente sotto controllo, ma saranno verifica e valutazione in una relazione che dovrà avere come base il "principio di fiducia".

 

I ragazzi con deficit saranno opportunamente informati dell’artificio e tutte le circostanze che li porranno in relazione con i loro “amici” saranno gestite sia nelle occasioni che nella relazione secondo lo stile e l’atmosfera dell’amicizia.

 

 

 

Alcuni ambiti teoretici di riferimenti: Vygotskij, Wertheimer, Husserl

 

Vygotskij

Cuando Vigotsky habla de pensamiento y de lenguaje, dice que el lenguaje nace del contacto entre las personas, paralelamente el pensamiento es la interiorización del lenguaje y es ínter subjetivo.

 

El lenguaje ayuda a madurar el  pensamiento y este ayuda a desarrollar el lenguaje.

 

En este sentido, la autonomía ayuda a madurar a la independencia y la independencia da calidad a la autonomía.

 

La relazione quindi tra autonomia e indipendenza che noi intendiamo mettere in parallelo alle dinamiche tra pensiero e linguaggio nelle ipotesi di Vygotskij, vuole produrre una condizione che integra lo sviluppo psicobiologico della persona al contesto, alle situazioni ed in particolare a quelle condizioni che le azioni educative vanno a produrre per il superamento degli handicap che i deficit propongono. Il parallelismo nella dinamica pensiero e linguaggio ci deve far mantenere sempre presente  che le pratiche educative perdono il loro senso se non sono pensate e se non costituiscono lo stimolo per poter intervenire nella zona di sviluppo potenziale.

 

Vygotskij stesso evidenzia che pur non essendo le pratiche educative all’interno del potenziale dello sviluppo piscobiologico della persona, un’adeguata educazione favorisce un corretto sviluppo della persona: 

 

l'apprendimento non è di per se stesso sviluppo, ma una corretta organizzazione dell'apprendimento del bambino porta allo sviluppo mentale, attiva un intero gruppo di processi di sviluppo, e questa attivazione non potrebbe aver luogo senza l'apprendimento. L'apprendimento perciò è un momento intrinsecamente necessario ed universale per lo sviluppo nel bambino di quelle caratteristiche umane non naturali, ma formatesi storicamente.”

 

L'intelligenza, qualunque sia il significato che gli diamo è soggetta ad essere "orientata, educata e potenziata.

 

Sul piano educativo, gli studi e le ricerche di Vygotskij risultano un interessante riferimento in quanto sottolineano che:

"...l'apprendimento di una data attività (cioè lo sviluppo di una data competenza) può essere anticipato, non esercitando la persona in quella stessa attività (cioè in prestazioni) per cui non è ancora matura (non ancora competente), ma accelerando la maturazione (l'acquisizione della competenza) attraverso attività (cioè le prestazioni) in attività per cui la persona sia già matura (competente) e che siano preparatorie dell'attività che si vorrebbe far apprendere (o della competenza che si vorrebbe sviluppare) più precocemente; in secondo luogo bisogna distinguere fra l'apprendimento che si realizza nell'esercizio spontaneo da parte della persona delle competenze già sviluppate e quell'apprendimento dovuto all'intervento sistematico di guida e aiuto da parte degli insegnanti in prestazioni per cui la persona non sia ancora competente; vi sono pertanto due livelli di maturità (o competenza): quello relativo alle possibilità di apprendimento spontaneo della  persona e quello relativo alle possibilità di apprendimento se aiutata.

 

Lo scarto fra i due livelli è la 'zona di sviluppo potenziale' (Vygotskij, 1930-31).".

 

Iniziare dal "sa fare" significa spesso riscoprire la persona.

 

Un intervento pedagogico va fondato su una sperimentalità rigorosa, attenta all'osservazione delle competenze della  persona  dei suoi "sa fare", per una produzione di ipotesi di intervento, di occasioni per farla divenire sempre più consapevole dei processi, dei percorsi, delle scelte, del "come ci si è organizzati per risolvere un problema"; del "come ci si può organizzare per ricercare, trovare risoluzioni"; che un problema può essere affrontato con modalità e strumenti diversi e che la sua analisi, la sua valutazione si può condurre da molteplici punti di vista; ...quel: saper chiedere, a chi, come, quando, saper cercare aiuto, individuare gli strumenti facilitanti,...

 

 

Wertheimer

La teoría de la Gestalt (M. Wertheimer)  dice que caminos iguales pueden llevar a destinos diferentes y caminos diferentes a destinos iguales[1]. Una educación  que pone el énfasis solo en la autonomía produce que la persona que aprende siempre llegue al mismo destino y haga siempre el mismo camino. La educación que desarrolla la autonomía y la independencia conduce a que la persona que aprende pueda utilizar el  mismo camino para objetivos diferentes y diferentes caminos para el mismo objetivo. Esto conduce a la capacidad para resolver problemas. Produce, además, la capacidad para transferir lo aprendido en situaciones nuevas, desconocidas. El error, por tanto, es también un aprendizaje.

 

Sempre nell’ambito della Gestalt si denuncia il rischio di itinerari formativi addestrativi che legano gli apprendimenti e le abilità alle autonomie. Di fatti alcune competenze possedute e messe in atto in date situazioni, contesti, con certi strumenti  rimangono, per così dire, talmente "legati", "fissati" alle solite-consuete-abitudinarie circostanze sino a scomparire (non essere riconoscibili) in altre diverse in cui sono richieste.

 

La percezione della situazione diversa può ostacolare o favorire la conoscenza del possesso di date competenze. E' come se contesti, situazioni e strumenti acquisiti in una determinata situazione scomparissero quando ci si trova in un contesto diverso.

 

Dunker, parla di "fissità funzionale", che è quella tendenza “a "fissarsi" su quella che è la funzione normale e consueta di un oggetto mentre il contesto della situazione problematica richiederebbe che quell'oggetto venisse utilizzato in una funzione diversa. Il comportamento "fissato" tende dunque ad ostacolare la soluzione, il cui raggiungimento può dipendere proprio dalla possibilità di utilizzare quel dato oggetto nella funzione nuova, non abituale."

 

La Gestalt quindi ci offre la possibilità di indagare su quali possono essere le modalità educativo-didattico-formative che, in particolare in persone con deficit, tendono a produrre una non fluidità nel trasferire le competenze e ci permette di pensare in che modo un progetto educativo possa essere organizzato per fornire alla persona capacità che gli permettano di riconoscere le proprie competenze rendendo irrilevanti, secondarie o gestibili coscientemente le condizioni contestuali.

 

Con tali presupposti l’interrogativo che la Gestalt ci aiuta a risolvere è: quale itinerario formativo risulta idoneo a far sì che pur in situazioni contestuali e ambienti, circostanze differenti si possa riconoscere la stessa competenza o in che modo modificare le situazioni e i contesti per poter insegnare ad utilizzare la competenza in possesso?

 

L’itinerario educativo deve mettere in grado la persona di modificare, per la risoluzione del problema, sia la struttura della situazione concreta che la struttura del pensiero (ciò in special modo quando la situazione reale è difficilmente modificabile).

 

Le riflessioni della pedagogia della Gestalt ci riportano al progettare circostanze ed occasioni in cui la persona apprende a ricercare possibilità negli strumenti della cultura, a ricercare "mediatori" culturali e strumentali oltre che nel vedere nell'altro una risorsa complementare, una presenza che può in qualunque momento cooperare con lui per esplorare, conoscere, raggiungere o cambiare obiettivi. Ritorna il saper ritrovare nella "complessità" e non solo nella "parte" quelle risorse, quelle opportunità utili per il proprio sviluppo; il saper ritrovare nel contesto, nelle situazioni, nelle relazioni quelle risorse necessarie per avere il piacere di esistere, il desiderio di conoscere.

 

Nelle ricerche e nelle riflessioni, negli orientamenti della Gestalt vi è il rispetto della diversità e della originalità di ciascuno viste come risorse, e ritroviamo l'educatore nel ruolo del sollecitatore, provocatore di occasioni conoscitive e non in quello del "porgitore" di saperi e conoscenze preconfezionate e preorganizzate.

 

Metzger raccomanda ai genitori di non cadere nella tentazione di:

"... intervenire in modo prematuro aiutando il bambino (la persona con deficit n.d.a.) ogni qual volta incontri difficoltà, rubando al bambino delle importantissime occasioni per imparare, privandolo dell'irrinunciabile esperienza del riuscire in imprese prima d'ora mai tentate e del superarle...

 

Aiutare la persona con deficit "rubandogli" il piacere o il dispiacere della scoperta significherebbe trasmettergli: "...la basilare esperienza altamente pericolosa (diseducativa), che non è necessario affaticarsi, poichè per ogni tipo di difficoltà o di ostacolo che pone la vita, c'è a disposizione uno 'schiavo' che si sobbarca tutta la fatica.”[2]

 

Metzger critica i modi dell'insegnare che si propongono di far apprendere mnemonicamente i contenuti; tale scuola pensa all'intelligenza umana come capacità di memorizzare. Al contrario la pedagogia della Gestalt la considera sul piano della qualità, della autonomia e della produttività cognitiva.

 

Intelligenza come capacità di vedere le relazioni, di comprenderle e di organizzarle sensatamente.

 

La critica ad un insegnamento che richiede prestazioni mnemoniche è relativa ai risultati che possono essere anche positivi sul piano delle verifiche (tra l'altro Metzger sottolinea che tra le cause della conservazione di un metodo mnemonico vi è la comodità delle verifiche), ma che formano studenti che sanno, ma non conoscono la struttura delle loro conoscenze in quanto non conoscono i processi, i percorsi che li hanno prodotti.

 

Gli insegnanti/educatori sono travolti da un vortice e: "...più grande è la quantità di materie che si vogliono trasmettere, più grande diventa il tentativo di propinare all'allievo, conoscenze finite, confezionate, facili da verificare in modo da imprimerle rapidamente risparmiando tempo... “[3], quel tempo considerato perso quando si vuol far esperire, vivere, percorrere al bambino i processi mentali, i percorsi, gli incidenti, gli accidenti (questi utilissimi apprendimenti) che hanno condotto e prodotto quelle conoscenze presentate quali meri contenuti ingegneristicamente preconfezionati da ripetere passivamente.

 

Sottolinea Metzger "...che la quantità sia di discapito alla qualità è un principio universalmente valido, anche in ambito scolastico. Ma questo rapporto non è semplice. Sarebbe inutile sperare che il semplice diminuire la quantità delle nozioni conduca automaticamente ad una educazione qualitativamente significativa, ad una autonomia mentale....il sistema, nel suo insieme, rimarrebbe intatto: verrebbero trasmesse semplicemente meno nozioni, ma come prima la capacità di pensare autonomamente e le capacità attive dell'allievo verrebbero comunque ostacolate anziché stimolate.

 

Fin quando gli educatori penseranno che il processo formativo ha come base la trasmissione di nozioni, conoscenze e che la formazione della mente è una semplice appropriazione di utensili mentali, non cambierà nulla.[4].

 

Se l'impostazione dell’itinerario formativo venisse orientata verso itinerari per comprendere e non per un mero ripetere passivo, che porta ad acquisire certe autonomie ma non l’indipendenza, le competenze acquisite determinerebbero un substrato, un atteggiamento, che, andando alla ricerca di strategie, permanentemente potenzierà le capacità e la voglia di comprendere immettendo la persona in un processo che lo porterà sempre più verso la sua indipendenza.

 

 

Husserl

La fenomenología (E. Husserl[5]) nos dice que la intencionalidad de la conciencia se produce cuando la persona se relaciona con el mundo desde una posición activa, no pasiva, obteniendo una visión original del mundo, consciente y responsable. De este modo, la autonomía permite a la persona explorar el mundo, conocer sus reglas, establecer relaciones etc. pero es la independencia la que podrá conducir a la persona a tener una opinión propia del mundo, eligiendo desde su responsabilidad como quiere estar en el mundo.

La fenomenologia orienta il nostro pensiero a chiarire quali sono le dimensioni educative che favoriscono lo sviluppo di una libera intenzionalità.

 

Per intenzionalità della coscienza intendiamo la capacità del soggetto di rapportarsi al mondo esterno (alle cose della natura, agli altri soggetti e alle varie realtà umane e sociali) in modo non passivo ma attivo; la capacità cioè di incorporare l'oggetto o il mondo secondo una donazione di senso originale, pervenendo ad una personale ma consapevole e responsabile, visione del mondo[6]

 

Nella concezione husserliana della coscienza umana viene delineato che essa consiste nella relazione necessaria esistente tra la coscienza stessa e l'oggettività esterna, per la quale mentre la prima non avrebbe alcun signi­ficato senza un contenuto oggettivo (la coscien­za è sempre coscienza di...), la seconda non avrebbe senso ne valore se non ricevesse dalla coscienza un aspetto e una forma determinati.

 

Mediante tale concetto, dunque, si perviene al rifiuto di qualsiasi concezione del reale di tipo sia oggettivistico (materialistico) sia soggettivi­stico (idealistico); mentre si giunge ad una interpretazione essenzialmente relazionistica per la quale ciò che conta non è l'essere in sé della realtà (che in ogni caso sfugge alle possibilità conoscitive dell'uomo), ma la portata dell'essere per l'uomo, ovvero la sua realtà vissuta.

 

Per la fenomenologia husserliana, e quindi per la pedagogia fenomenologica la visione del mondo può essere considerata l'insieme struttu­rato dei vissuti di ogni persona: il modo con cui ciascuno incorpora il mondo o si mette in rela­zione con esso dandogli un senso e dunque contribuendo al determinarsi della sua stessa storia. È evidente che il costituirsi della visione del mondo è da mettere in rapporto con l’intenzionalità della coscienza che, essendo sempre aperta e problematica, rende la stessa visione del mondo personale mai definitiva e conclusa. In ogni caso essa è di fondamentale importanza pedagogica perché rappresenta un antidolo, pe­raltro non sicuro o scontato, ad ogni forma di oggettivizzazione dell'altro (quindi dell'educan­do non importa di quale età e con quale livello di maturazione)  dovendoglisi  riconoscere un'ineliminabile dimensione di libertà. E perché suggerisce una modalità di rapporto interpersonale per il quale, dovendo l'educatore ricono­scere che ogni persona è pervenuta e continua­mente perviene ad una propria visione del mon­do, gli segnala l'opportunità di comprendere quella visione del mondo allo scopo di imposta­re un rapporto non autoritario ed oggettivante con l'educando.

 

Inoltre è importante sottolineare, ancora una volta per le sue conseguenze in ambito pedagogico, che la visione del mondo di ogni persona subisce continuamente delle modificazioni (ovviamente, più o meno consistenti a seconda dell'ampiezza delle esperienze che l'individuo com­pie e della sua disponibilità ad accettare il cam­biamento) a motivo della rete mai conclusa di relazioni con il mondo esterno e con gli altri che caratterizza la sua esistenza. In questo senso, è legittimo sostenere che tutta l'educazione - e segnatamente quella che interviene nei casi di soggetti difficili e/o disadattati - consiste nel mettere l'educando in condizioni di compiere sempre nuove esperienze in modo che la sua vi­sione del mondo si arricchisca e, se del caso, pervenga senza subirla ad una anche profonda modificazione.[7]

 

 

Alcuni riferimenti per orientare la mente e le prassi.

Soffermiamoci un attimo a tratteggiare alcuni ambiti educativo-didattici che sono indispensabili per  far maturare nella persona con deficit competenze circa il pianificare, il prestare e mantenere   attenzione, lo sviluppare la memoria, un ricordare  utile e funzionale, il tener conto dei contesti, degli  eventi, delle situazioni  in simultaneità ed in successione; competenze fondamentali che sia gli operatori che i ragazzi devono acquisire.

 

Alcuni fondamentali riferimenti li traiamo dalle ipotesi di Luria e di Vygotskij con la attenzione, per non correre il rischio di farle rientrare in una dimensione di fredde tecniche e/o metodologie,  di tenerli in intimo rapporto con i principi dell’emozione di conoscere ed il desiderio di esistere.

 

Per quanto riguarda la nostra ricerca risulta fondamentale determinare situazioni preparatorie all’implicare le persone con deficit in preliminari che, in forme affettive anche fortemente inducenti, affascinanti,  suggestionanti, convincano, persuadano  e conducano verso il desiderare un fare, a costruire un volere.

 

La ricerca ha posto in evidenza che le persone con deficit  di frequente non presentano desideri che possono avere lo spessore di forti motivazioni, questi sono spesso estremamente deboli o impossibili, slegati da sensi che portano verso percorsi utili allo sviluppo cognitivo ed affettivo.

 

Bisognerà quindi, al fine di implicare  le persone con deficit in un percorso educativo-didattico che abbia dei risultati sia nell’apprendimento che nello sviluppo, progettare un affascinare, un suggestionare, un indurre che attraverso modi accattivanti, attraverso modalità seduttive di relazionarsi, vadano a provocare il desiderio di osservare, di imitare, di fare.

 

Una sorta di “plagio” in positivo in quanto propone un passaggio da un mero essere presenti ad una attività che provoca il desiderio in una dimensione in cui questo  fa scoprire e si lega al decidere ed impossessarsi di quelle competenze che portano verso una propria autentica intenzionalità.

 

Un indurre attraverso forti condizioni emozionali apparecchiate e progettate in contesti, in situazioni, atmosfere estremamente complici e seduttive.

 

Le circostanze di apprendimento e di insegnamento, di formazione permanente nelle nostre ipotesi, non sono sciolte dai contesti relazionali con la molteplicità di even­ti, né dalla relazione psico-affettiva determinata dal desiderio di co­municare.

 

Quando la dimensione emotiva, si integra intimamente con i contenuti e  le nozioni apprese, la sua forza profonda va a determinare un fissaggio non solo alle nozioni ma anche alle situazioni contingenti, al clima ed alle atmosfere affettive che trascinano con le emozioni, nel ricordo, l’apprendimento, le nozioni, i contenuti e le abilità. Ciò propone una sorta di doppi, paralleli e integrati circuiti per cui la parte razionale, che di solito è quella deficitaria e quindi destinata  a contenere il rischio di perdita di quanto appreso, trova supporto nella porzione emozionale che funge da riferimento evocatore. Un riferimento evocatore che non legandosi alla circostanza in modalità logico-analitica, ma attraverso impronte affettive, ripresenta la parte più profonda dell’esperienza, quella strutturale e pertanto propone la possibilità e capacità potenziale di mantenere la memoria dell’avvenimento, del contenuto, della nozione fissandoli  ad una profonda impronta emozionale che apre, potenziandola, l’esperienza a un più vasto orizzonte di eventi.

 

In tal modo si evita il probabile rischio del congelamento delle esperienze, dell’apprendere  in monadi monouso e si apre la possibilità di transfer delle competenze.

 

Un apprendere non per ripetere tale e quale né destinato solo alla risoluzione di un determinato problema ma un apprendere che al di là della nozione partecipa al potenziamento dell’architettura cognitiva ed affettiva della persona.

 

L’ap­prendimento, in tale dimensione,  ha la finalità di portare alla consapevolezza soprattutto del potere di decidere e del mettere in atto azioni.

 

Un voler e poter agire che si esterna e si realizza tramite la propria corporeità, attraverso la quale è possibile intervenire sugli og­getti e sugli altri.

 

Spesso il coinvolgere una persona con deficit diviene un’azione educativa ardua da compiere senza profonde attenzioni e/o strategie preliminari, in quanto l’avere quale riferimento le MOTIVAZIONI per implicarla in un progetto è di frequente molto difficile poichè queste sono spesso ASSENTI.

 

Pertanto risulta fondamentale, creare le condizioni per il SUCCESSO, in quanto è da questo che le MOTIVAZIONI nascono. Le possibilità di successo, vanno ricercate in quegli ambiti in cui la persona con deficit dimostra sia pur minime competenze, tra i suoi "sa fare".

 

Sta proprio nel saper riconoscere - immettendoli nel percorso della “zona di sviluppo potenziale”  per poterli evolvere - i sia pur minimi saper fare, il porre le basi per la "nascita" delle motivazioni e del desiderio di apprendere.

 

Fondamentalmente sulla base dei sopra tratteggiati preliminari e nella dimensione dell’emozione di conoscere sono con molta probabilità verosimilmente possibili le azioni rivolte alla PIANIFICAZIONE, ATTENZIONE, SIMULTANEITA' e SUCCESSIONE[8]. 

 

Il percorso di PIANIFICAZIONE, ATTENZIONE, SIMULTANEITA' e SUCCESSIONE è un itinerario quindi da ideare preliminarmente in seno alla mente ed alla progettualità dell’Operatore, dell’Insegnante, dell’Educatore, del Genitore in una condizione di condivisione della dimensione dell’emozione di conoscere e del desiderio  di esistere.

 

 

PIANIFICAZIONE

La pianificazione è il processo mentale attraverso il quale l'individuo determina, seleziona, applica e valuta i problemi e le possibili soluzioni. Il processo di pianificazione permette di affrontare situazioni per le quali non sono immediatamente evidenti e disponibili vie di soluzione. Questo processo viene applicato a compiti sia semplici sia complessi e può implicare altri processi come quelli di attenzione, simultaneità e successione.

 

Bisogna stare molto attenti a tener conto che PIANIFICAZIONE, ATTENZIONE, SIMULTANEITA' non vadano interpretati in una modalità successiva, lineare ed uniforme, ma che questi vanno considerati sistemici, integrati e seguono la regola dell'ologramma. Pertanto anche se il nominarli ciascuno ci costringe a creare una successione perchè non è possibile fonderli nella parola parlata o scritta,  in realtà questi vanno pensati  in modo sistemico ed ologrammatico.

 

Buone capacità nella pianificazione implicano lo sviluppo di un piano di azione, la valutazione del valore del metodo, il monitoraggio dell'efficacia, l'eventuale modifica o rifiuto di un piano quando il compito richiede un cambiamento[9] e il controllo dell'impulso ad agire senza le opportune considerazioni.

 

La pianificazione è presente in tutte le attività umane in cui si richiede di utilizzare un metodo per risolvere un problema sia in contesti scolastici che formativi e nella vita quotidiana (in casa, al lavoro, tempo libero, gioco...).

 

 

ATTENZIONE

L'attenzione è un processo mentale attraverso il quale l'individuo si focalizza selettivamente su stimoli particolari inibendo quelle risposte a stimoli competitivi che vengono presentati nel tempo. Come si può notare l'attenzione è all'interno del processo di pianificazione proprio perchè mentre si pianifica è necessario creare delle complementarietà e delle relazioni tra gli elementi che sono l'oggetto del problema e della pianificazione.

 

Buone capacità di attenzione richiedono che questa sia focalizzata e selettiva, impegnata e sostenuta. L'attenzione selettiva richiede l'inibizione delle risposte ad alcuni stimoli in favore di altri che possono risultare difficili da ignorare, mentre l'attenzione sostenuta si riferisce alle possibili variazioni della prestazione nel tempo che può essere influenzata dal variare dello sforzo richiesto per risolvere il problema ed eseguire il compito.

 

 

SIMULTANEITA'

Il processo di simultaneità è un processo mentale attraverso il quale l'individuo integra stimoli separati in un intero o in un gruppo. Come si può notare, la simultaneità pone nello stesso tempo e nella stessa dimensione progettuale e cognitiva la pianificazione e l'attenzione. Si parla di un tutt'uno in una forma organismica e sistemica ed anche se alcuni degli aspetti momentaneamente risultano in primo piano, questa loro funzione di primo piano non è gerarchica e non trascura gli altri piani. Pertanto se l'attenzione in un momento ci porta a concentrarci su un elemento, tratto o unità del sistema in cui stiamo intervenendo, questo non significa che dobbiamo perdere la relazione con gli altri, non dobbiamo uscire fuori dalla pianificazione né dobbiamo perdere la simultaneità degli eventi. E' come quando guidiamo l'automobile: l'attenzione di un momento su di un ostacolo che velocemente ci si pone davanti non ci deve far perdere il controllo del mezzo, non ci deve far distogliere dall'organizzazione complessiva pianificata nel sistema di guida in quanto il porre in secondo piano uno degli elementi ci fa perdere la simultaneità delle azioni occorrenti a controllare la nostra guida.

 

L'essenza del processo di simultaneità è che la persona deve interrelare gli elementi stimolo in un unico percettivo o insieme concettuale.

 

 

SUCCESSIONE

Il processo di successione è un processo mentale attraverso il quale l'individuo integra gli stimoli in uno specifico ordine seriale tale da formare una catena in progressione. Questo è il processo che porta all'organizzazione della ricerca che come abbiamo sottolineato va organizzato per punti forti. Come quindi si può notare la successione non è altro che una forma organizzativa logico-funzionale che assume uno spessore forte sul piano del potenziale cognitivo solo e soltanto se ha avuto quelle premesse strettamente integrate di pianificazione, attenzione e simultaneità.

 

Senza tali premesse può diventare una forma meramente mnemonica, passiva, frutto di un condizionamento più o meno operante, una sorta di ricetta da eseguire passivamente. Il processo di successione è necessario quando le cose devono susseguirsi l'un l'altra in un ordine strettamente definito: per es. quando si devono cucinare gli spaghetti l'acqua va nella pentola e non la pentola nell'acqua. Al contrario, quando la pentola bisogna lavarla è la pentola che va nell’acqua.

 

In ricette particolari va messa prima la cipolla e poi funghi, altrimenti pur rimanendo le due componenti presenti nella ricetta l'impalpabile ma caratteristico sapore che si vuol dare al piatto, alla sensibilità del palato di un buongustaio, ne muta radicalmente il gusto e quindi il valore,…

 

La successione comporta itinerari e scopi differenti in procedure differenti.

 

La qualità distintiva del processo di successione è che ciascun elemento è legato solamente a quello che lo precede e che questi stimoli non sono interrelati altro che ad uno scopo convenzionalmente e intenzionalmente deciso.

 

Come si è cercato di far notare, la dimensione rigorosa di ricerca sugli effetti del fare, del progettare sull’organizzazione della mente e del corpo trasforma una semplice ricetta in una potente organizzazione per lo sviluppo cognitivo ed è a questo training nel considerare e nel fornire valore agli eventi anche quelli che si ritengono marginali che prima di tutto gli operatori devono sottoporsi ed il semplice preparare una macedonia assume la potenza di un'occasione per la trasformazione dell'architettura cognitiva.

 

 

 

LA NECESSITA’ DEL CONFRONTO INTER E MULTIDISCIPLINARE

Sul piano pedagogico i riferimenti tradizionali dell'educare, dell'insegnare, del formare per condurre i ragazzi con deficit verso una vita autonoma ed indipendente vanno profondamente ed attentamente riletti con altre chiavi interpretative e: lo sgabuzzino, il gabinetto, la cucina, il momento del pranzo, il momento della 'ricreazione'; il personale non docente, il vicino di casa, il salumiere, la parrucchiera, il tranviere,… solitamente esclusi dal progetto educativo, lo integrano e lo potenziano; che l'organizzazione degli spazi, la posizione dei mobili, degli oggetti, le parole, i toni di voce, la divisione del tempo, le persone, la loro postura, al di là del loro significato convenzionale, oltre che ad incidere nel rapporto sul piano funzionale, hanno una implicazione e una valenza affettiva tali da favorire o sfavorire un rapporto; che la quotidianità, i vari momenti, l'organizzazione dei contesti, degli oggetti possono essere di supporto e di sostegno alla relazione e all'intervento educativo.

 

Si scopre che i modi per conoscere possono andare al di là degli itinerari convenzionali, spesso ritenuti unici percorsi per accedere al sapere, alle conoscenze; che il vedere delle immagini può richiamare alla memoria situazioni, odori, suoni, paure e che sentire degli odori può richiamare alla memoria una storia, un vissuto fatto di immagini, di parole, di suoni; che gli itinerari della conoscenza non sono soltanto dei percorsi graduali e semplici, risultato di una addizione di percezioni sensoriali e di eventi, ma complessi ed articolati che costituiscono un vissuto caratterizzato da fantasmi, sensazioni, emozioni, ..., in situazioni affettive che costituiscono un campo di analisi assai vasto, dove e' possibile ritrovare le opportunità, le strategie per articolare l'intervento.

 

La pedagogia si viene a trovare nella necessità di confronto e cooperazione con le scienze medico-riabilitative, psicologiche e i suoi punti di vista si potenziano collaborando con riferimenti alla prossemica, l'etnografia, la semiotica, alle analisi sistemiche della comunicazione potenziando le possibilità e le capacità professionali di osservare, scoprire e di includere nelle riflessioni, nelle ipotesi di lavoro universi prima non visti.

 

L'ampliamento nel confronto degli orizzonti pedagogici diviene uno spazio di analisi e di riflessione negli incontri con operatori, genitori, educatori, psicologi, medici, riabilitatori.

 

 

 

VINCERE LA PAURA

Gli apprendimenti che una persona con deficit mette in atto spontaneamente vanno esplorati per poterli far evolvere attraverso l'intervento educativo, altrimenti rischiano di rimanere statici se non accadono avvenimenti eccezionali che li facciano evolvere.

 

Inoltre, frequentemente, la lunghezza dei tempi di "risposta",  oltre che il saper osservare, implica nei professionisti sia dell'area dell'educazione, della didattica, che in quella medico-riabilitativa, il saper attendere, significa aspettare per settimane, mesi (forse mai), ed in questi tempi lunghi di attesa, bisogna essere in grado di non lasciarsi prendere dalla paura, dall'angoscia, dal senso di non "aver fatto", di aver "sbagliato" l'intervento o di ripiegare nell'alibi del "è impossibile", rifiutando l'esperienza.

 

Le possibilità di apprendimento spontaneo in persone con deficit, spesso sono minime, bisogna intervenire insegnando le strategie per apprendere. Il rischio di una didattica che non tenda a far impadronire la persona con deficit delle strategie sta nel fatto che ogni apprendimento si congeli, rimanga fine a se stesso, non si colleghi al sistema cognitivo in modalità attiva e dinamica operando dei transfer.

 

I progetti educativo-formativi finalizzati a ritornar sopra gli apprendimenti per scoprirne i potenziali strutturali sapendoli evolvere con propria intima ed originale energia hanno lo scopo di far passare gli apprendimenti, le esperienze da mere nozioni e dati facendoli assurgere ad occasioni provocatrici  di competenze progettuali con una autentica capacità intenzionale. Competenze concettuali che forniscono quella profonda energia caratterizzante l’emozione di conoscere ed il desiderio di esistere.

 

 

Pensami adulto

Sul piano della Pedagogia Speciale (ed in relazione ai dati che fanno emergere le ricerche a cui da ormai più di trent’anni facciamo riferimento) ci troviamo in accordo con quegli ambiti giuridici che hanno come orientamento il pensare a Leggi sul modello di quella sull’“Amministrazione di sostegno”[10]. Leggi che pensano la persona con deficit collocata in una dimensione in cui vi sono forme di tutela ampie (non meramente patrimoniali, ma comprendente anche la cura della persona), propositive e non interdittive, espansive e non inibitorie, personalizzate, modulabili e non standardizzate, frutto di una concezione dei diritti delle fasce deboli della popolazione veramente conforme ai fini costituzionali di promozione del pieno sviluppo della persona umana (art. 3, comma 2, Costituzione Italiana e Libro Verde - Mejorar la salud mental de la población.  Hacia una estrategia de la Unión Europea en materia de salud mental Bruxelles 2005).

 

Nel momento in cui si pensa alla qualità della vita di una persona con deficit adulta, si ritrovano, nella tradizione assistenzial-custodialistica (che trova radici nell’interdizione), riflessioni e ipotesi di intervento che per lo più vanno a tutelare  meramente l’economia, il tenore di vita, la proprietà, i bisogni di prima necessità, …non si formulano ipotesi riguardanti il tempo libero, il divertimento, la sessualità, …

 

Ciò che emerge intorno alla vita delle persone con deficit dalle ricerche in Pedagogia Speciale condotte in una dimensione multi ed interdisciplinare è la possibilità permanente (quindi anche in età adulta) di potenziare l’intenzionalità della persona e con questa i suoi desideri, con la conseguenza dell’ampliamento degli orizzonti esistenziali, della capacità di scelta autonoma ed autenticamente originale dei percorsi dell’esistere.

 

La tradizione assistenzial-custodialistica parla di attenta ed accurata manutenzione dei beni di proprietà della persona con deficit, di una attenta ed intelligente amministrazione dei beni materiali, di attenzione ai suoi diritti assistenziali, ma non si pone accento alla crescita dei suoi desideri, della sua intenzionalità, del potenziamento delle sue capacità intellettive e culturali anche in età adulta. Non si parla, tanto per sottolineare uno dei beni personalissimi di cui la persona ha il diritto di usufruire, della vita sessuale (quando se ne parla si connota tale ambito non come piacevole ma come un grande problema), della vita relazionale ed affettiva, del tempo libero, del divertimento, del piacere… tali riferimenti fondamentali per una vita autonoma ed indipendente di qualità, non sono affrontati. Così come non sono affrontati, dopo una certa età (di solito dopo i 18/20 anni) riferimenti progettuali per la crescita cognitiva, culturale, intellettuale della persona con deficit con riferimento ai permanenti progressi delle ricerche scientifiche e delle possibilità che le sempre più potenti tecnologie (tra l’altro sempre più a bassi costi) propongono.

 

Una persona con deficit, avanzando nell’età, necessita di azioni permanenti che lo supportino e lo stimolino nella crescita dei suoi potenziali intellettivi ed affettivi in quanto senza tali supporti (emerge negli studi della Pedagogia Speciale) si va incontro a un arresto e/o involuzione delle capacità intenzionali, del desiderio di esistere con gravi ripercussioni nell’ambito delle autonomie, della socializzazione e degli apprendimenti.

 

I costi altissimi giornalieri delle strutture di ricovero (specialmente quelli a carattere terapeutico-sanitario) assistono, constatano e registrano il progressivo decadimento intellettuale della persona spesso con raccolta dati, statistiche e diagnosi che descrivono anche meticolosamente tale decadimento come se fosse un itinerario naturale inevitabile da tenere sotto osservazione, da vigilare senza dover intervenire per modificarne contrastandolo il percorso. Sembra che dopo i 18-20 anni “i giochi siano fatti” e “non ci sia più niente da fare”.

 

Tale posizione era presente quale dominante in certi orientamenti meramente diagnostico-difettologici dell’area medico-riabilitativa, pedagogica e psicologica quando si parlava (ormai più di trent’anni or sono) di Istituzioni Speciali.

 

Si diceva che “se vi sono miglioramenti questi sono possibili solo nei primi anni di vita”.

 

I “miglioramenti” dovevano avvenire dall’interno, era il bambino che doveva migliorare intellettualmente, non si pensava ad interventi educativi ma interventi sanitario-riabilitativi. Il nuovo millennio ha constatato che la vita delle persone con deficit è aumentata sino a quintuplicarsi, sicuramente la medicina, l’alimentazione, gli interventi terapeutici hanno contribuito, ma altrettanto sicuramente e potentemente gli interventi educativi, i progetti didattici e pedagogici hanno prodotto l’emozione di conoscere, e con questo il desiderio di esistere. Desiderare, decidere, avere un’intenzionalità, essere riconosciuti nella propria originalità ha partecipato (sicuramente non in minima parte, ma potentemente) a voler vivere perché si ha coscienza della propria esistenza e questa è riconosciuta dagli altri sia sul piano affettivo e socio-relazionale che (per tornare più esplicitamente alla riflessione sulle Leggi) sul piano dei Diritti Costituzionali e Civili.

 

Le diagnosi e le azioni che si ispiravano ad esse, affermavano che le persone con deficit dovevano essere in strutture separate, in scuole speciali. Si raggruppavano i bambini e le persone con deficit per categorie dettate dalla patologia e li si raggruppava in istituti speciali, in scuole speciali, in classi speciali. Tale mera visione diagnostica e di raggruppamento delle persone in categorie patologiche trasformava la persona e la sua originalità in un concetto uniformante di: “soggetto anormale”.

 

La “anormalità” andava osservata e classificata e, come in una raccolta per collezioni di figurine, i classificatori, gli album erano le classi, le scuole, gli istituti speciali. In ogni classe, scuola, istituto gli “studiosi” potevano osservare comodamente (come sfogliando una viva enciclopedia delle patologie) le differenti “anormalità” raggruppate diligentemente per categorie, sottocategorie, eccezioni, …; per età, per età mentale, …

 

Giovanni, Francesco, Maria, Anna, non erano visti come bambini, persone, ma come eccezioni della norma e, a volte si constatava che avevano desideri, gusti, ricordi, piacere, tristezza, gioia, … intenzionalità, … questa parte spesso veniva appuntata nelle note aneddotiche.

 

Le premesse che vedevano tali persone “portatori di handicap” (erano loro che portavano gli handicap a noi!) solo in un’ottica meramente diagnostica proponevano delle profezie di immutabilità, oltre che sul piano della patologia, anche su quello esistenziale, intellettuale e relazionale-affettivo, che si avveravano. Profezie che si avveravano grazie ai contesti che congelavano ed imprigionavano le persone con deficit negli handicap che la patologia ed i contesti proponevano. L’ingresso nelle scuole di tutti, i progetti di integrazione (che, torno a ribadire, ormai si riferiscono a più di trent’anni fa) hanno contribuito a contraddire le profezie che si sono rivelate errori epistemologici, ottusità di certi orientamenti scientifici fondati su profondi pregiudizi, oltre che su posizioni non rispettose della originalità della persona, della sua identità, della sua autentica (non anormale) esistenza.

 

E’ necessario essere attenti al rischio che il pregiudizio si riaccenda in una “mimetica eutanasia esistenziale” che va ad attribuire all’età adulta della persona con deficit l’impossibilità di intervenire per il suo sviluppo intellettuale ed affettivo.

 

Tale posizione va contro alle ricerche multi ed interdisciplinari sullo sviluppo e l’invecchiamento che rileggono l’esistere dell’individuo ponendo l’invecchiamento in un’ottica di sviluppo potenziale permanente.

 

 

 

I genitori invecchiano, e dopo?

Il non esserci più dei genitori, la loro morte, propone un vuoto e ci si accorge che sul piano dell’organizzazione dei Servizi Sociali non si è stati abbastanza e/o sufficientemente saggi nel seguire una linea progettuale che nel tempo andasse a organizzare il dopo i genitori (accorgendosi troppo tardi di quale risorsa può essere la famiglia quando è sufficientemente sostenuta da una adeguata formazione ed informazione).

La debolezza e sp

esso il vuoto degli interventi a carattere educativo (l’intervento educativo necessita di una permanente azione, come per tutti, anche per le persone con deficit ) dopo la scuola dell’obbligo, i laboratori protetti, le azioni e gli interventi meramente assistenziali (spesso mimetizzati nel lavoro inutile) stanno facendo emergere un decadimento delle capacità intellettive e relazionali delle persone con deficit e questo lo si attribuisce (riproponendo le mere constatazioni e le passive diagnosi) all’invecchiamento e non al vuoto pregiudiziale degli interventi, all’assenza di progetti con una prospettiva a lungo termine. In tale dimensione vi è il forte rischio che velocemente si possono “rispolverare” teorie e prassi segreganti con il ritorno di strutture speciali, manicomi, … anche mimetizzati sotto altro nome per riproporre Istituti-totalizzanti facendoli apparire (ridiventare) il naturale approdo in età adulta delle persone con deficit.

 

Oggi, la situazione economica da una parte e, dall’altra, la necessità di rispondere ai bisogni delle persone con deficit in special modo di quelle che non hanno più i genitori, propongono la trappola di costosissimi istituti con risposte ai bisogni di bassissima qualità.

 

Alti costi e bassa qualità sembrano le parola d’ordine di certe tendenze nel realizzare interventi.

 

Gli istituti per persone con deficit (per es.: Residenze Sanitarie per Disabili ) non solo costano in danaro, ma in energia del volontariato, spesso necessaria per far funzionare l’inefficienza.

 

Altro disorientamento dell’inefficienza: far credere e dimostrare (rispolverando una vecchia storia) che tali persone siano destinate ad un degrado delle capacità a causa del loro deficit, e non a causa dell’inefficienza delle strutture, delle scelte sbagliate, degli effetti di pregiudiziali ottiche nell’ osservare e valutare l’uomo, la persona (con o senza deficit, gli stessi errori si stanno mettendo in atto nei progetti riguardanti le persone anziane: per tutti noi).

 

 

Gli interventi sul “dopo di noi” dovrebbero provocare un’implicazione attiva delle famiglie, dei genitori, dei fratelli, che sono una grande risorsa, se educata, e che dovranno essere ausiliati a pensare ad un vero e proprio progetto di investimento per i loro figli con deficit. Bisogna evitare che s’instauri un passivo, fatalistico e purtroppo non possibile senza un progetto: “tanto ci sarà qualcuno che ci penserà”.

 

La realizzazione di strutture Istituzionali per le persone con deficit senza genitori molte volte è gestita da associazioni, fondazioni, sia con finanziamenti pubblici che privati, che organizzano luoghi di accoglienza, strutture che purtroppo (anche se nascono da una spinta forte affettivamente, da un desiderio di far bene per i propri figli) sono risposte empiriche all’immediatamente, alle urgenze e, non avendo fondamenti su esperienze e conoscenze valutate e verificate scientificamente, finiscono con il divenire una realtà di frequente non adeguata, costosa e purtroppo difficilmente trasformabile in progetti più efficienti e di qualità.

 

Errori di questo tipo purtroppo, oltre che avere una ricaduta sulla qualità di vita delle persone con deficit ed essere estremamente costosi, rischiano di produrre nel contesto socio-culturale la convinzione solidaristica che gli Istituti siano la risposta naturale dell’assistenza a persone con deficit (anche questa convinzione diviene difficilmente modificabile in quanto pensata a fin di bene e si radica nella pregiudiziale naturale conseguenza del destino di essere persone con deficit).

 

 

 

Interroghiamo le esperienze per farle evolvere in sinergia

Le iniziative ipotizzate nell’ambito di “Pedagogia Speciale” possono contribuire alla formulazione di ipotesi e prassi di alta qualità ed in sostegno scientifico per progetti circa la realizzazione sinergica di “patti sociali” riguardanti azioni finalizzate a determinare occasioni operative, contesti e situazioni che portano, accompagnano  le persone con bisogni speciali verso una vita autonoma ed indipendente[11],   occasioni che, a mio avviso,  andrebbero progettate e monitorate, in un sistema di “ricerca-azione” documentando i percorsi dell’esperienza allo scopo sia di individuare, valutare, verificare  e prospettare modelli teorici e metodologici che operativi finalizzati a provocare azioni sinergiche solidali nel contesto socio-culturale.

 

La realizzazione di un progetto di ricerca potrebbe divenire un significativo investimento con il far assurgere l’iniziativa ad una esperienza paragonabile ad un “laboratorio ambientale” dove si mette in atto la ricerca scientifica multi ed interdisciplinare oltre che interistituzionale come auspicato dalla legge 104/92[12].

 

Gli investimenti che hanno lo scopo di realizzare contesti finalizzati ad offrire opportunità sul piano delle autonomie, della socializzazione e degli apprendimenti[13] per le persone con deficit rischiano di fermarsi in attesa di risposte spontanee da parte del tessuto sociale che purtroppo di frequente risultano una delusione in quanto tardano a venire o non avvengono o quando avvengono - legandosi prevalentemente ad una “solidale sopra sottolineata buona volontà” - non necessariamente sono risposte adeguate ai bisogni e corrispondenti alle risorse economiche investite.

 

I riferimenti messi in atto dalle ricerche nell’ambito della Pedagogia Speciale circa il superamento degli handicap che i deficit propongono fanno emergere la necessità di intervenire con concrete e forti azioni educative ambientali e sociali, azioni che sul piano pedagogico-educativo possono avviare, supportare e far evolvere processi di integrazione/inclusione unitamente a quelli di sviluppo cognitivo ed affettivo della persona con bisogni speciali. Processi che altrimenti rischiano di permanere nella buona volontà e negli auspici: la buona volontà purtroppo non basta ma sono necessarie altamente competenti e rigorose azioni promotrici sufficientemente fondate su quelle esperienze (anche spontanee) che hanno prodotto risultati positivi, esperienze valutate e verificate scientificamente.

 

Risultano fondamentali progetti che nel tempo (come in una sorta di manutenzione-ammodernamento permanente) accompagnino, supportino ed evolvano le finalità di integrazione e di inclusione unitamente a quelli di sviluppo cognitivo ed affettivo (un buon progetto deve accompagnare la persona con deficit mantenendo e evolvendo nel tempo con continuità le competenze e le azioni di supporto).

 

Risultano quindi necessari progetti che nel tempo:

1. da una parte, abbiano la responsabilità di realizzare luoghi, ambienti, contesti, architetture adeguate all’incontro sociale

2. e dall’altra, promuovano le azioni necessarie a concretizzare l’integrazione/inclusione finalizzate ad una vita autonoma ed indipendente di qualità.

 

Risulta un investimento economico e culturale per le istituzioni, per le fondazioni, per le famiglie, per le persone con deficit (anche in prima persona) il mettere in atto quelle azioni rigorose e scientifiche finalizzate a monitorare l’efficacia degli interventi, verificando e valutando i risultati. Tale dimensione, che io definisco di investimento, propone la realizzazione di “poli” di ricerca multi ed interdisciplinare dove è possibile riflettere sull’approccio integrato.

 

Le ipotesi che orientano i progetti dei “patti sociali” potrebbero essere l’occasione per la realizzazione di un “polo” dove si studiano, si ricercano e si trovano soluzioni applicative, protocolli sperimentati che possono essere periferizzati, costituire un riferimento rigoroso e scientifico, divenire modello per orientare altre prassi, altri progetti originali, essere di servizio ad altre realtà che hanno possibilità economiche limitate[14].

 

 

 

Non tener conto dei contesti, dell’ambiente, del sociale come risorsa.

Sembra che le necessità di una persona con deficit siano:

- indefinitamente moralistiche;

- definitamente economiche e mediche.

 

L’indefinitamente moralistico solitamente si riferisce al “trattar bene”, “mantenere la persona pulita”, “evitargli cattivi incontri e frequentazioni”, e “volergli bene”, …per quanto riguarda il definito, sembrano chiari i professionisti di riferimento e le azioni che sono di una manutenzione (anche ottimale) della salute e del patrimonio.

 

Lo sviluppo e il potenziamento dell’intenzionalità, gli interventi per l’elevazione della cultura, per l’ampliamento dei desideri, …quegli interventi formativi, pedagogici che propongono il suo sviluppo intellettuale per evolvere la persona con deficit verso una vita autonoma ed indipendente con il piacere ed il desiderio di esistere non vengono esplicitati, né ci si riferisce a professionisti che possono intervenire in tal senso.

Le scelte da adottare, se non vi è un progetto per il permanente potenziamento della facoltà di scelta, per il potenziamento della sua indipendenza, della persona con deficit, saranno sempre di altri, i quali altri -bisognerà chiedersi- sono formati per conoscere e saper agire per un vantaggio anche esistenziale della persona, o sono formate solo per vantaggi economico-assistenziali?

 

Lo scopo degli interventi dei professionisti di supporto al dopo di noi che finalità deve avere?

 

Meramente di assistenza,  cura e tutela medico-aministrativa?

 

Penso che sia proprio delle strutture pubbliche ipotizzare modelli che vadano a sperimentare prassi verificandone l’efficacia e che tengano conto delle istanze e necessità esistenziali della persona con deficit come si sta realizzando nella collaborazione tra Università di Murcia – prof.ssa Nuria Illan Romeu e la FUNDOWN.

 

Mettere in atto per documentare e far circolare modelli che trasformino il rapporto alti costi e bassa qualità in costi accettabili e alta qualità.

 

Tali modelli potrebbero orientare l’elargizione di quegli aiuti finanziari che le associazioni, le fondazioni, richiedono. Non quindi interventi a pioggia, ma un’economia di supporti selettiva che vada a favorire quei modelli che rispettando l’originalità della persona in sistemi trasparenti e condivisi determinano (in quanto sperimentati e offerti dagli ENTI PUBBLICI) quei modelli, quelle buone prassi che  propongono un’alta qualità degli interventi economicamente possibile ed accettabile.

 

Le azioni di ricerca di modelli e della loro messa in atto sperimentale e di divulgazione deve tener conto dei contesti, dell’ambiente valutandolo come grande risorsa. Il sociale, l’educazione alla solidarietà non va assimilata ad una buona azione che il cittadino può fare ma ad un modo di concepire il lavoro, la produzione, le relazioni, la cultura, le professionalità in una realizzazione di economie forti e solidali.  

 

 

 

Un progetto ed un progettista per i sistemi di integrazione ed inclusione

Le Istituzioni, tramite i Servizi ed i provvedimenti legislativi, dovrebbero concorrere a delineare un progetto vita che proponga la possibilità che vi sia un processo di integrazione fra le attività riabilitative e le altre attività della persona, e che di conseguenza possa delinearsi un progetto esistenziale che non coincida esclusivamente e totalmente con percorsi medico-riabilitativo, psicologico-terapeutici, didattico-addestrativi.

 

Risulta fondamentale evitare che la persona, la sua esistenza, la sua originale identità sia negata dai suoi deficit e dagli handicap che questi propongono con delle risposte totali nella direzione terapeutica che se divengono dominanti rischiano di far perdere di vista la centralità dell'individuo a favore della totale centralità del deficit e degli handicap da questi determinati.

 

“Pedagogia Speciale” e quotidianità sono i riferimenti, a nostro avviso, che forniscono al Professionista specializzato per il superamento degli handicap che il deficit propone, lo spessore culturale e le competenze idonee a garantire alle istituzioni e alle famiglie quell’ambito di confronto rigoroso e quella visione di insieme, sistemica  del panorama degli interventi in atto e/o possibili sul territorio, a favore della persona con bisogni speciali.

 

La “Pedagogia Speciale” offre la garanzia di una competenza specifica sugli handicap che i deficit propongono e per la ricerca di occasioni, opportunità, metodologie per il loro superamento; inoltre la “Pedagogia Speciale”, nella sua azione educativa nel quotidiano, proprio per il dover cercare nel e con l’Ambiente, nel e con il Sociale e nel e con le Istituzioni possibilità di sguardi di insieme per prospettare sinergie professionali ed istituzionali si profila quale riferimento rigoroso per pattuire protocolli di intervento valutabili e verificabili durante il percorso stesso.

 

La “Pedagogia Speciale” ovvero il Professionista con tale competenza di riferimento offrirebbe al sociale, alle istituzioni e alle famiglie, referenze per valutare e verificare (controllare) le modalità di procedere e le prassi che presentano caratteristiche virtuose a vantaggio della persona con bisogni speciali. La riflessione e la documentazione degli itinerari di verifica, valutazione (controllo) andrebbero alla ricerca di opportunità metodologiche, di protocolli che possono fungere da modello rigoroso di riferimento usufruibile in più contesti istituzionali.

 

Risulta fondamentale ribadire che bisogna tener sempre presente che le esperienze in ambito educativo sono irripetibili in quanto hanno come oggetto di analisi e di osservazione la persona con la sua originalità da rispettare e da far evolvere.

 

Irripetibilità significa che le esperienze non possono essere replicate tali e quali

 

È per tale motivo che un progetto educativo va fondato su di un atteggiamento sperimentale rigoroso, attento all'osservazione, per una produzione di ipotesi di intervento, di occasioni, riproponibili fondamentalmente quali presupposti teoretici e metodologici (non come mere ricette) tali da proporre una irripetibilità che garantisca il rispetto dell'identità ed originalità di ciascuno.

 

L'irripetibilità non contrasta assolutamente con la necessità di comunicare e di riflettere sulla esperienza avvenuta, ma sottolinea che una data esperienza non può essere ripetuta per tutti "tale e quale".

 

 

 

La Pedagogia Speciale e le garanzie di un accompagnamento multi ed interdisciplinare, multi ed interistituzionale

La nostra ricerca nell’ambito della “Pedagogia Speciale” ha avuto una stretta collaborazione e responsabilità scientifica con Istituzioni e Professionisti dell'area medica e psicologica, in tali occasioni le competenze relazionali, le capacità di collaborare, il rigore scientifico, la chiarezza e la specificità dei ruoli, dei linguaggi, delle responsabilità di ciascun Professionista e di ciascuna Istituzione durante gli itinerari di ricerca e di intervento, sono stati riferimenti fondamentali per poter agire le ipotesi ed i progetti operativi, per il valore, l'efficacia e la validità degli interventi.

 

E' proprio attraverso un "atteggiamento sperimentale" in un’integrata dimensione interdisciplinare ed interistituzionale che si sono potuti realizzare percorsi sinergici delle competenze delle diverse aree, specificando: strumenti, linguaggi e responsabilità, determinando riflessioni epistemologiche, autenticità teoretiche e metodologiche che hanno orientato le scelte nella prassi.

 

Operazione senza dubbio indispensabile anche se resa difficile da abitudini che spesso dividono in compartimenti stagni le diverse istituzioni ma ancor peggio di una visione relativa e ristretta al tratto di responsabilità personale: è importante parlare delle persone, dei Professionisti in quanto sono questi ad agire nel quotidiano, le Istituzioni si convenzionano spesso con Atti estremamente adeguati, ma le PERSONE hanno simpatie, antipatie,…

 

Si necessita un contesto ed una dimensione relazionale che pur facendo riferimento alle specificità istituzionali e responsabilità professionali specifiche pensino a come porre in un sistema i tratti che ciascun Servizio, ciascuna famiglia, operatore, volontario,… “amministratore di sostegno” mette a disposizione per un progetto unitario sulla Persona, progetto condiviso valutabile, verificabile attraverso un protocollo pattuito insieme.

 

Il progetto sulla Persona non può schematizzare gli interventi con dominanze arbitrarie medico-riabilitative o didattico-scolastiche o psicologico-clinica o giuridico-amministrativa in quanto si rischia di perdere la dimensione unitaria dell’identità della persona con conseguenza di una frammentazione di una esistenza.

 

 

Le competenze indispensabili per dar energia alla necessità di cambiamento e concretezza, alle azioni complesse a cui si è chiamati a rispondere richiedono nelle strutture istituzionali l’indispensabile presenza di figure professionali con ruoli e responsabilità di coordinamento e di pianificazione. E’ in risposta a tali esigenze che si offriranno le competenze al "Progettista specializzato nei sistemi di integrazione-inclusione".

 

Attraverso il riportare le esperienze relative ai procedimenti ed ai provvedimenti e l'interrogarle, vi è la possibilità di riflettere insieme cercando di recuperare quelle strutture in cui ritrovare le linee principali che ci possono essere di riferimento per orientare futuri progetti, procedimenti, provvedimenti sempre più dinamici ed adeguate prassi.



[1] "... "si duo faciunt idem, non est idem, se due individui fanno la stessa cosa, non è lo stesso. In termini esatti due elementi o due gruppi di elementi che sono identici dal punto di vista atomistico possono avere un significato molto diverso dal punto di vista strutturale; può darsi infatti che siano diversi per natura. Un'aggiunta necessaria è la proposizione opposta: se, dal punto di vista atomistico, due elementi compiono funzioni molto diverse, le loro azioni possono essere, ciò nonostante, strutturalmente identiche. Per fare la stessa cosa in una situazione cambiata bisogna farla in modo diverso. In termini esatti elementi diversi possono essere strutturalmente gli stessi."

Max Wertheimer, Il pensiero produttivo, Giunti Barbera, 1965, FI, pag. 273

 

[2] Wolfgang Metzger, Psychologie und Paedagogik, ed. Verlag Hans Huber, Bern, 1975, pp. 46/47.Traduzione di Daniela Paganini.

[3] Wolfgang Metzger, Stimmung und Leistung, ed. Aschendorffsche Verlagsbuchhandlung Muenster Westfalen, Muenster, 1965.

(traduzione Daniela Paganini)

[4] Wolfgang Metzger, op. cit. 1965.

 

[5] Cfr. in particolare E. Husserl “L’idea della fenomenologia” Il Saggiatore Milano 1981

[6] P. Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Bo, Malipiero, 1965, cap. III.

[7] Cfr. P. Bertolini “Dizionario di Pedagogia e Scienze dell’Educazione”, Zanichelli Bologna 1996

[8] Cfr. A. R. Luria “The Working Brain. An Introduction to Neuropsychology, Harmondsworth” Penguin Books, 1976

[9] Si sottolinea in modalità artificiali e strettamente tecnico-funzionali, utili soltanto al processo di analisi, in quanto si stanno mettendo in atto delle arbitrarie, anche se funzionali, gerarchie.

[10] Cfr. legge 6/2004 http://www.camera.it/parlam/leggi/04006l.htm e Tesi di Laurea della dott.ssa Elisa Sormani

[11] Abbiamo sperimentato e stiamo sperimentando da molti anni sia in Italia che in Spagna (Università di Murcia – prof.ssa Nuria Illan Romei e FUNDOWN Murcia dove si sta realizzando una convivenza con studenti della stessa Università con ragazzi con trisomia 21) progetti finalizzati a fornire competenze a persone con deficit per una alta qualità di vita  autonoma ed indipendente; tali  ricerche hanno una duplice azione:

1. fornire competenze alle persone con deficit,

2. educare ad una solidarietà attiva fornendo strumenti conoscitivi ed operativi al contesto-tessuto sociale per determinare le condizioni culturali ed operative per l’integrazione/inclusione. A tale proposito la nostra azione, nell’ambito della ricerca, è stata anche quella di incontrare negozianti, cittadini (del quartiere in cui vivevano le persone con deficit e in cui si svolgevano le azioni di ricerca) mettendoci a disposizione per fornire loro gli strumenti culturali e concettuali per collaborare alle ricerche.

[12]   cfr. http://www.handylex.org/stato/l050292.shtml

[13] Autonomie, Socializzazioni e Apprendimenti, nelle mie ricerche, sono indicatori privilegiati che valutano l'efficacia dell'intervento relativamente al loro gradiente di implicazione ed integrazione reciproca, per cui: ogni autonomia deve produrre competenze in relazione alla socializzazione e agli apprendimenti; la socializzazione competenze negli ambiti delle autonomie e degli apprendimenti; gli apprendimenti competenze negli ambiti della socializzazione e delle autonomie.

 

[14] I “poli” di ricerca ed i progetti integrati tra Università ed Impresa in special modo quelli con minimo tre nazioni che cooperano sono auspicati e supportati finanziariamente  dal nostro Stato e dalla Comunità Europea (progetti Erasmus, Commenius, Integer,…) oltre che detassati.

 

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